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Durante le scuole medie l’insegnante di lettere, nel corso di una lezione, propose alla nostra classe un libro che segnò da allora, il cammino di tutta la mia futura esistenza: “Stringere le mani del mondo” di Raul Follerau, giornalista e filantropo francese, che dedicò la sua vita a combattere la piaga della lebbra.

Nel suo testo, Follereau, incitava le persone, soprattutto i giovani, a fare della loro vita un’esperienza meravigliosa di aiuto al prossimo. «Non andate in pensione quando siete ancora in fasce», scriveva, «ma impegnatevi per rendere importante ogni vostro giorno, ridendo, piangendo, emozionandovi, lottando».

All’età di 25 anni, feci domanda per svolgere il servizio civile, fui assegnato ad una comunità per il recupero di persone con problemi di tossicodipendenza.

Eravamo a metà degli anni ’80 del secolo scorso e l’AIDS terrorizzava tutti i giovani, incluso me.

In preda al panico, al solo pensiero di ritrovarmi a stretto contatto con chi aveva contratto il virus, perché allora ero totalmente ignorante in materia, rifiutai l’incarico.

In seguito, capii che usando attenzione non avrei corso alcun rischio di salute, e mi convinsi a svolgere il mio periodo a servizio dello Stato in questa comunità.

Fu un’esperienza che cambiò la mia vita.

Nella casa in collina, sede del CEIS di Don Picchi, erano ospitati sedici ragazzi nel podere che circondava la struttura e lì mi resi conto che il contatto con la natura, ovvero lavorare nel verde, aveva su di loro un effetto eccezionale. Così, proposi di fare un orto, di piantare alberi e piante da fiore.

Mi accorsi che la loro sofferenza piano piano si attenuava, lasciando posto alla soddisfazione: piantare e curare le piante dava alla loro vita un senso e un significato profondi.

Dopo questa esperienza, nel 1987, mi proposi per lavorare a San Patrignano con Vincenzo Muccioli, fondatore della Comunità. L’intenzione sua, e dei suoi collaboratori, era immergere il villaggio in costruzione in un grande parco, sostenendo già allora che il verde avesse un potere fortemente terapeutico.

Mi fu detto che avrei dovuto realizzare il lavoro insieme ai ragazzi della Comunità, proprio perché l’attività di piantagione avrebbe aiutato il loro spirito e la loro voglia di riscatto.

Mi aspettavo che, a lavorare con me, fossero mandati i ragazzi più motivati e invece, arrivarono i più ostili e svogliati. Molti non avevano intenzione neppure di rimanere in comunità, figuriamoci di mettersi a piantare con noi.

Ci volle del tempo, tanta pazienza e tanto impegno da parte di bravi operatori specializzati ma alla fine toccai con mano la personale rinascita, fisica e psicologica della maggioranza di questi ragazzi.

Curare il verde aiuta a salvarsi la vita.

E questo a San Patrignano lo sapevano e lo sanno bene.

Ebbi la fortuna di vivere la stessa esperienza a Terni nella Comunità Incontro fondata da Don Gelmini. Anche qui fu un succedersi di emozioni meravigliose. Con entrambe le comunità lavoro ancora intensamente a distanza di tanti anni.

Da allora la mia passione nel coniugare cura del verde con la cura di persone sofferenti, è divenuta sempre più chiara e concreta.

Proprio seguendo questa ispirazione, nel 1999 fondai una prima Cooperativa Sociale, dedicata proprio al recupero lavorativo di soggetti socialmente svantaggiati: la Giardineria Italiana. Tramite il lavoro, infatti, la persona rifiutata e ai margini della società può recuperare la propria dignità e autostima.

Mosso da questa convinzione, mi misi all’opera per una cooperativa forte e competitiva nel campo della progettazione, realizzazione e manutenzione del verde, dove potesse realizzarsi il riscatto sociale dei suoi componenti.

Iniziai coinvolgendo 4 ragazzi provenienti, due dalle comunità di recupero e due giardinieri professionisti e oggi siamo 80 tra soci e lavoratori, tecnici altamente specializzati e giardinieri di massimo livello.  

Tutti i nuovi componenti della cooperativa, quando entrano nelle nostre squadre, si impegnano a superare i limiti del loro ingombrante e difficoltoso passato, tirando idealmente una linea di demarcazione che divida ciò che era prima la loro esistenza e ciò che diventerà nel prossimo futuro.

Tossicodipendenza, carcere, incidenti invalidanti, patologie e traumi vari superati, sono il passato, il futuro è il lavoro, il riscatto, la dignità, la collaborazione la solidarietà tra colleghi. 

Tra queste persone ci sono anche io.

Ho sofferto infatti, per anni, di una forte depressione che ha condizionato tanti aspetti della mia vita e la natura mi ha salvato più volte: è da qui che sono partito.

Nel 2010 vide la luce, a Pistoia, anche la Cooperativa Sociale Puccini Conversini. In questa struttura che si compone di giardino terapeutico, frutteto, oliveto, serra e piantagioni in pieno campo, nonché una casa colonica ristrutturata, si svolge da anni il nostro lavoro di recupero di individui svantaggiati, tramite la creazione di appositi percorsi lavorativo – terapeutici.

Il nostro motto è: “curare una pianta per curare una persona”.

Infatti, le specie vegetali, dagli alberi, agli arbusti, ai fiori e frutti, provengono tutti da scarti di vivaio, ovvero, le piante che, difettate o malate sarebbero state messe al fuoco e che invece nel nostro centro possono tornare a nuova vita.

Questo processo di rinascita coinvolge personalmente chi lo attua e, come le piante tornano a germogliare e fiorire, così la persona che se ne prende cura fa altrettanto.

Lavorando in collaborazione con medici e psichiatri e con le ASL, dalle quali alcuni nostri utenti provengono, abbiamo visto, coi nostri occhi, come lo stato di benessere e la salute di tante persone, siano nettamente migliorati seguendo questo percorso di riabilitazione psico-fisica nel verde.

Da anni, la domanda di collaborazione da parte di associazioni e centri del nostro territorio che accolgono persone con disturbi dello spettro autistico, sindrome di Down, Alzheimer è in aumento.

Per questo, medici e professionisti del settore sono divenuti la base scientifica del mio lavoro. In collaborazione con medici specialisti, ho cominciato a progettare giardini terapeutici dove pazienti colpiti da varie patologie possono svolgere attività nel verde riducendo il carico di ansia e depressione a cui vanno incontro, diminuendo così il carico farmacologico.

Non è semplice da spiegare con poche parole, ma vi sono delle specie che più di altre risultano essere adatte, per uno specifico disturbo e che possono essere utilizzate in un giardino, piuttosto che in un altro.

Il progetto del giardino per la cura di persone affette dal disturbo dello spettro Autistico, ad esempio, nacque visitando un centro diurno per ragazzi affetti da questa patologia. Mi accorsi che alcuni di loro si andavano a nascondere negli angoli più protetti della stanza sensoriale composta da grandi cuscini morbidi.

Questa osservazione ci fece balzare alla mente una correlazione con la protezione che la vegetazione può offrire. Fu così che per il giardino in questione, pensammo a creare una sorta di percorso immerso nel verde e costellato da “nicchie vegetali, composte da varie specie di piante, tutte assolutamente innocue, dove il singolo paziente avrebbe potuto rifugiarsi, per sentire il contatto col verde e raggiungere così il suo stato di benessere.

Portando in giro per tutta Italia il mio libro Salvarsi con il verde, poi, ho assistito alla testimonianza diretta di tanti che, personalmente, hanno assistito al potere salvifico della natura.

L’esperienza è alla base della terapeuticità di un giardino. E oggi, dopo tanta ricerca e lavoro, mi sento di proporre la mia personale rivoluzione: quella del “metro quadro verde” che consiste nell’impegnarsi quotidianamente per la società, l’ambiente, le persone.

Come farlo?

Semplicemente guardandosi attorno e osservando ciò che sarebbe possibile migliorare nei nostri spazi verdi e vicino a noi:  il parco pubblico sotto casa pieno di cartacce, salvare piante, animali, attivare la raccolta differenziata o anche aiutare un parente bisognoso.

Tanti sono i piccoli e pure importantissimi gesti che ogni giorno, ognuno di noi può impegnarsi a fare con tenacia e risoluzione, essendo così d’esempio agli altri ed innescando un circolo virtuoso di rispetto e aiuto reciproco.

Una goccia nel mare può fare tanto.

Per un pomodoro o una rosa, che sia la mano di una persona autistica, di un ludopatico o la nostra ad annaffiarli e concimarli, non cambia nulla, perché per la natura siamo veramente tutti uguali, o meglio, siamo tutti diversi ma tutti ugualmente importanti ed in quest’ottica, il limite di uno è compensato dalle potenzialità dell’altro e viceversa.

Esattamente come fanno le piante fra loro.