Un uomo con le mani troppo grandi per vivere felice in mezzo a uomini senza cuore, si nascose in una casetta davanti al mare, in un prato tagliato a metà da un muro alto di mattoni rossi.
La casa lo difendeva dalla notte e il muro dai curiosi.
Ma nessuno dei due lo difendeva dalla solitudine, che scendeva sulla sua pelle come la sera sul mare.
Il tempo passava, però passava senza gioia.
Finché una notte.
Una notte, di là dal muro, accadde qualcosa che lui non poteva vedere ma noi sì: una donna vestita di bianco si mise a piantare, sotto le stelle, alberi e alberi di arance con piccoli frutti acerbi sui rami. Con le mani apriva la terra, con il cuore cantava: “piccole arance, verdi e dure, quando sarete tutte mature, color del sole colme di succo, il re resterà certo di stucco, monete d’oro in cambio darà , e il mio più bel sogno si avvererà : avrò una nave che mi può portare, ad esplorare il mondo per mareâ€.
E tutto sarebbe certamente andato come sperava, se non fosse stato per il temporale.
Ma che temporale.
Un temporale sciabolante, una mano di nubi e lampi si abbatté sulla casa, sugli alberi carichi di frutti e smontò, spezzò e scrollò e spaccò. Ruppe tutto. Tutto.
Distrusse la casa dell’uomo, strappò le arance della donna dai rami.
Solo il muro, alto tra loro, resisteva.
Solo il mare, ampio, buttò al mattino nel cielo un sole neonato.
Il sole si alzò, compì il suo giro con lentezza e pareva in cerca di qualcosa che non trovava. Forse per questo ci mise del tempo a tramontare: se ne stava lì con un occhio solo, arancione. E guardava giù, verso il muro.
L’uomo, seduto in mezzo al prato, fissava a sua volta il sole: non trovava le parole per dirgli della paura della notte, ora che la sua casa non c’era più, dei brutti sogni che sentiva sulla pelle.
Nemmeno la donna aveva voce tra le labbra, aveva solo arance acerbe tra le braccia, quando alzò gli occhi verso il sole che scendeva nell’altro prato: il suo colore le accese dentro una rabbia precisa: lui era d’oro, come le sue arance non sarebbero diventate e da lassù poteva essere in tutti i posti, mentre lei non sarebbe più andata da nessuna parte. Allora le nacque dentro la voglia di colpirlo: prese un’arancia da terra e con tutta la forza che aveva, la lanciò oltre il muro. Ma un lancio non bastò alle sue mani, che sentiva bruciare dalla voglia di sbarazzarsi di tutte le arance. Una dopo l’altra le scagliò dall’altra parte, contro il sole.
Non raggiunsero certo il sole, ma caddero a raffica sull’uomo seduto nel prato. L’uomo si alzò in piedi e con le sue mani grandi, per la prima volta utili a qualcosa, poteva difendersi e colpire al volo le arance e rispedirle senza fatica dall’altra parte.
Quando la donna vide tornare le arance, restò di sasso. Ma fu un attimo: già le gambe correvano, le mani afferravano e rilanciavano. In questo correre e scattare, battere e ribattere, l’uomo e la donna dimenticarono il sole e il temporale. Dimenticarono di avere paura, della notte, della rabbia, del futuro. Colpirono e lanciarono, finché ebbero fiato.
Allora si fermarono e ci fu un silenzio, nuovo, un vento bello.
Un silenzio intatto di cristallo e stelle.
Ma non durò a lungo.
La donna si spostò appena in tempo, per un soffio schivò il crollo.
L’uomo si era aggrappato al muro e con le sue mani grandi lo stava abbattendo; sbriciolava i mattoni tra le dita, li riduceva in polvere rossa, una terra soffice, che il vento sparse per bene intorno a loro, a creare uno spazio pulito, come un campo da gioco, ampio. Quando ebbe polverizzato tutti i mattoni, si avvicinò alla donna, strinse senza stringere la sua mano tesa.
Si dissero: grazie. E fu proprio un bel grazie, come una poesia.
Dicono che se ne andarono insieme, verso altri muri da abbattere, da sbriciolare. Dicono che diventò il loro lavoro. E dicono che sui campi di terra rossa i bambini iniziarono a giocare un gioco nuovo, con due racchette, una pallina e una rete tirata a metà , che ricorda un muro, sul punto di cadere.
Dicono dicono, ma ora basta parlare, è ora di dormire, di mettersi a sognare, cullati dal canto del mare.