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Alessandro Avataneo, architetti di relazioni: l’arte della trasformazione e della cura

Nel percorso sulle parole del mese, CasaOz mi ha affidato la riflessione sul termine arte.

Per approfondire questo concetto complesso, partirei da un’idea semplice: l’arte, come la scienza, permette di espandere le frontiere di ciò che è possibile pensare, immaginare e realizzare. L’arte quindi è legata al fare, non all’essere. Per quanto mi riguarda, da regista e umanista, fare l’artista richiede strumenti, competenze, intuizione e genialità. Con l’esperienza si migliora e si impara ad amministrare i propri limiti – soprattutto, a trasformare imprevisti e incidenti in opportunità. 

Essendo caratteristiche utili in qualsiasi lavoro o disciplina, credo si debba smitizzare il culto della celebrità, che spesso caratterizza gli artisti più del loro talento: gli artisti non sono persone che meritano di essere celebrate più di un insegnante, un assistente sociale, un chirurgo, un falegname o un netturbino. 

Ciò che rende anche gli artisti essenziali per la società è il saper lavorare con le emozioni e le relazioni: con il racconto di storie e di mondi, permettere che il pubblico possa riconoscersi, meravigliarsi e contemporaneamente scoprire cose di sé, o del mondo, che non conosceva prima e ispirare la realtà e la quotidianità di ognuno.

Fare arte non è obbligatorio, ma tutti possono adottare alcuni strumenti, metodi e idee degli artisti. A lezione, chiunque abbia davanti – da autrici e autori a manager e ingegneri –, illustro sempre la teoria degli architetti e dei giardinieri.

L’architetto è un tipo di artista che per indole si sente più sicuro nel progettare ed eseguire un progetto; mentre il giardiniere si allena con delle procedure adatte a affrontare l’ignoto, che coltiva giorno dopo giorno, come una sfida che si rinnova continuamente. Un buon equilibrio si trova nella via di mezzo, l’architetto di giardini, quel tipo raro di artista in grado di coltivare, con pazienza e disciplina, la propria arte nella quotidianità, per disseminare impatto nel lungo periodo. L’architetto di giardini è un visionario che lavora sul respiro di intere generazioni: persevera nella sua opera anche se non viene riconosciuto o non si riconosce nella propria epoca. È destinato a non godere a pieno dei risultati del proprio lavoro ma nonostante questo va avanti.

Negli anni ho conosciuto molti architetti di giardini a CasaOz: persone capaci di trasformare la tristezza in gioia, la solitudine in comunità, pensare a una casa nei momenti di desolazione e vedere un futuro in un edificio abbandonato. Persone che ho potuto raccontare in un film, Il Grande Oz. Questa esperienza e l’amicizia che ne è seguita negli anni successivi mi hanno cambiato la vita per sempre.

Andare a CasaOz significa entrare in un luogo in cui si realizza un’idea di mondo alternativa, più sana e accogliente, senza giudizi e pregiudizi, dove l’aria è più leggera grazie all’arte della cura e della relazione. A CasaOz si impara a riconoscere nella diversità il tratto comune della nostra umanità, in maniera attiva, in un cantiere sempre aperto che esprime l’arte della Quotidianità che Cura. Qui, ogni giorno si ristabilisce un principio di equità attraverso la progettazione della spontaneità – sembra un ossimoro, ma la quotidianità che cura è proprio la magia che si innesca creando i presupposti perché la vita scorra serenamente, nonostante tutto, grazie alle relazioni che si coltivano.

Proprio come un giardino, lo stesso che mi viene in mente quando penso a CasaOz: il giardino del pittore Monet, a Giverny. Un luogo magico, dove piante e fiori diversi crescono rigogliosi e api, bombi e altri animali – tra cui gli esseri umani – possono spostarsi, fermarsi, ascoltare, respirare, trovare solitudine e ispirazione o allegria e compagnia, immersi nel tranquillo scorrere delle stagioni.

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