C’era una volta un uomo che non voleva più combattere: da troppi anni la guerra stringeva la sua vita in una terra di fango e di nebbia, di alberi bruciati e di fucili imbracciati per difendersi da tutti, sempre.
Così una notte scappò, con i soli vestiti addosso, e un paio di grossi scarponi ai piedi, le mani ancora fredde dell’arma tenuta in pugno fino a quel momento.
Camminò e camminò e camminò ancora fino all’inverno, fino alle montagne.
Poi, cominciò a salire.
La neve aveva ricamato già molte albe intorno ai suoi scarponi pesanti, quando l’uomo si trovò in un bosco di alberi dalla corteccia rossa come il fuoco, le cui chiome di larghe frasche verdi e fitte erano tanti mantelli contro il freddo: era il bosco dei violini. I fusti dei suoi abeti altissimi donavano il legno per creare questi strumenti musicali che hanno il suono più vicino alla voce umana.
Al centro di tanta bellezza assoluta, lontano dal fango della guerra, l’uomo si fermò.
Stette a lungo dritto davanti all’albero più alto, come di fronte a uno specchio, gli scarponi affondati nel suolo morbido del bosco, in un silenzio benedetto, che pareva un lungo sentiero da percorrere per arrivare alla musica, o per tornare a casa.
Fu allora che un pettirosso si posò sulla sua spalla. L’uomo avvertì le zampine delicate dell’uccellino vibrare con la sua pelle, attraverso gli abiti lisi. Contrastanti e fortissime furono le sensazioni che provò: fu la tenerezza di nascere e insieme la paura di morire; allora, cominciò a tremare e gli venne una strana nostalgia del suo fucile, come se dovesse difendersi da tanta dolce bellezza.
Il pettirosso sentì quel tremito e, tra meraviglia e timore, provò la stessa paura e volò via tra gli abeti, con il suo canto stretto nel piccolo petto di brace.
L’uomo aveva gli occhi umidi quando si voltò e, con la neve sulle ciglia, mise migliaia di passi tra sé e la bellezza infinita del bosco dei violini, passi pesanti negli scarponi gravidi di terra e silenzio. Si fermò di nuovo solo dopo molto cammino, davanti a una vecchia casetta diroccata.
Entrò, scavò un buco nel pavimento di terra e scivolò in un sonno di molte stagioni, nascondendo i desideri e la vita sotto uno strato di terra scura.
Ma mentre l’uomo dormiva, sotto i suoi scarponi immobili, un segreto, vivo e silenzioso, aspettava la primavera; le suole dentate avevano trattenuto con la terra del bosco un piccolo semino di abete rosso. Con le prime piogge, il semino aveva spinto le sue piccole radici nel pavimento di terra; dal tetto sfondato i raggi del sole e le gocce dal cielo lo avevano baciato e nutrito per anni finché era diventato uno splendido altissimo albero.
Per molti anni fu solo un albero fuori luogo in una vecchia casa abbandonata, finché una notte di un Natale di pace, passò di lì un musicista con il suo strumento.
Attratto dall’albero che liberava la sua bellezza solitaria nel cielo buio, l’uomo si fermò, accese un fuoco, si scaldò le mani, imbracciò il violino e tra i fiocchi bianchi, diede voce a una musica splendida, delicata e fragile come il cristallo e profonda come gli occhi di un figlio.
Il violinista suonava e il fusto dell’albero vibrava come uno strumento: vibrava come il violino che poteva diventare, memoria e destino del bosco speciale da cui veniva.
La musica penetrò nelle radici dell’albero, che si allungarono come dita morbide ancora un po’ sotto terra, e raggiunsero il cuore dell’uomo addormentato; toccandolo, accarezzandolo, risvegliarono nel suo cuore morbido di sonno la forza e la tenerezza sentite nel bosco, nel silenzio, con il pettirosso sulla spalla.
Quando i fiocchi di neve lasciarono il posto alle stelle lucenti e il violino al silenzio, l’uomo lasciò il suo sonno, tenendo stretto il suo sogno ritrovato, abbracciò il musicista, abbracciò l’albero e tornò sui suoi passi, verso il bosco che amava.
Lassù, il piccolo pettirosso lasciava il suo nido caldo di piume e paglia e volava tra gli abeti rossi. Era tornata la neve e mentre le note bianche cadevano dal cielo, il suo canto riempiva il bosco e andava incontro ai passi dell’uomo. Come un sentiero di stelle.
Marina Gellona