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Massimiliano Verga, ZIGULì

Zigulì: il nome di una caramella, una pallina dolce inventata negli anni settanta e tuttora in commercio.

“Il cervello di Moreno è grande come una Zigulì” dice Massimiliano Verga, e sceglie questa immagine per presentare suo figlio – il secondo dei suoi tre figli – nato apparentemente sano ma divenuto gravemente disabile nei suoi primi giorni di vita.

Moreno: un bimbo di otto anni che con i suoi bellissimi occhi spalancati sul mondo non vede, non capisce e non comunica (e se lo fa è spesso attraverso urla, morsi e un dondolio continuo).

La storia: la vita vissuta insieme, l’altalena continua tra la ricerca della normalità e la consapevolezza del limite “La torta di compleanno, con le candeline: è come chiedere a un pesce rosso di giocare a calcio”.

Il sentimento prevalente sembra essere la rabbia. L’aggettivo che si incontra più frequentemente è “incazzato”: il racconto del passaggio dalla disperazione al momento della diagnosi alla quotidianità non prevede la rassegnazione. Tutto passa attraverso il senso di impotenza, che fa esordire l’autore con una premessa “Certamente non sono un buon papà per Moreno”. Poi le pagine scorrono veloci, a testimoniare la negazione di questa affermazione.

 

Un libro scritto per cercare di capire, di capirsi, quasi a voler quantificare, sezionare il dolore – quello del padre e quello del figlio – e finalmente condividerlo. Scritto con parole che di solito non si usano, con i fotogrammi che di solito non si scelgono nel montaggio finale. Scritto con parole vissute sulla propria pelle, lontane dalle teorie e dagli insegnamenti dettati dalle buone intenzioni: “I manuali non hanno figli handicappati. Io sì.” Scritto senza trasfigurare o ingentilire, senza pietà o reticenze, senza ipocrisie o retorica. Soltanto la vita descritta per come è, davvero.

 

La consapevolezza della propria fragilità, il senso di inadeguatezza (“Non mi impegno abbastanza con te, e quando lo faccio mi sembra di buttare via il tempo”) riescono talvolta a sciogliersi, quando il sorriso del bimbo ripaga da tanto buio, o quando ci si rotola su un prato abbracciati  stretti, e si vorrebbe che la vita fosse tutta lì.

E l’aiuto viene anche dalle persone che riescono a darti segnali, indizi diversi ai quali aggrapparsi. Come la fisioterapista che segue il bambino da quando era piccolo: “Perché lei non guarda ciò che Moreno non sa fare, ma sempre quello che ha imparato”.  Sono le piccole gocce che dissetano.

 

Un libro vero, duro, senza sconti. Un libro che insegna che, forse, guardarsi intorno può non essere così difficile.

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